A colloquio con Gina - Gina Basso

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A colloquio con Gina

Il personaggio
 

Gina degli emigranti

Da una rubrica radiofonica trasmessa nel cuore della notte è nato un servizio sociale a tutti gli effetti, per l'impegno con cui una giornalista calabrese ha fatto suoi i pesi, le ansie, i problemi e le sofferenze degli emigranti e degli emarginati.


Ogni anno a Barcellona viene assegnato il premio Ondas, riservato ai migliori programmi radiotelevisivi del mondo; lo scorso novembre è andato a Gina Basso, «per la sua partecipazione ai programmi dedicati ai lavoratori italiani all'estero, durante il "Notturno italiano" ».

Di origine calabrese, Gina Basso è l'animatrice di "C'è posta per tutti, in onda il venerdì e il sabato alle ore 23,30. Per mezz'ora, la sua voce arriva da Roma in tutti gli angoli dell'Italia e dell'Europa e nelle Americhe. E' "Gina degli emigranti" la voce dei parenti lontani: « Ciao, Salvatore!... Che ci dici Carmelo?... Quando torni papà?... E i ragazzi come stanno?... Il pacco lo hai ricevuto? Scrivi più spesso!... Ti attendiamo... ».

E' sorprendente come, nonostante la scomoda collocazione nel cuore della notte, l'assoluta mancanza di pubblicità, l'assenza di ogni sapore piccante, questa rubrica di mezz'ora abbia riscosso tanti consensi e sia tanto seguita non solo da chi spera comprensione e aiuto, ma anche da chi vuol dare.

« La vera validità della mia rubrica -mi dice Gina - è in questo: non è solo una valvola di sfogo o una specie di "telefono amico"; non è una esibizione patetica o pietistica, ma un'operazione sociale e culturale che va al concreto, affidando i problemi ai vari esperti e impegnandosi a trovare lavoro a chi non ne ha senza essere un ufficio di collocamento, a soccorrere chi va soccorso senza essere un istituto di beneficenza, a portare aiuto a chi è privo di mezzi senza disporre di mezzi economici, affidandosi unicamente alla generosità di quanti mi ascoltano e raccolgono i miei appelli e che, divenuti miei amici, diventano amici fra loro. Ouesto è molto bello, non ti pare? Se non temessi di ripetere una frase abusata, direi che si è venuta a formare una grande famiglia ».

In effetti la sua rubrica è un realistico spaccato di costume, in cui sono evidenziati gli aspetti di una umanità in crisi, alla quale, però, tutto manca fuor che la speranza.

Gina Basso sa evitare alla rubrica l'eccesso di sentimentalismo e di seriosità, animandola nel miglior modo possibile.

Dischi, poesie, interviste a personalità, a esperti, a personaggi divertenti, musiche dedicate a onomastici, a compleanni, a nozze, a ricorrenze varie, presentazione di libri, tutto serve tra un messaggio e l'altro, tra un saluto e una notizia, per spezzare la commozione e non degenerare nel lacrimoso. Quando non si può dare altro, un po' d'aria natia, una vecchia canzone, una voce mai dimenticata, sono già un vero dono. Ma poi si tratta di risolvere anche questioni pratiche (magari affrettare il rilascio di una pensione, per fare un esempio), e allora Gina deve anche fare la "public
relation": avvicinare avvocati, medici, politici, sindacalisti, assistenti sociali, giornalisti, sacerdoti - che spesso intervista proprio in trasmissione   - con totale impegno di sé e del suo tempo, al punto di non avere più una vita privata (le telefonano pure a casa, in piena notte), coinvolgendo anche tutti i collaboratori. Il suo ufficio è pieno di pacchi, pacchi enormi (viveri? medicine? vestiario?) giunti da ogni parte; ed è lei che si incarica di farli recapitare, con l'aiuto di alcune valide aiutanti esterne, scelte tra le ragazze il più possibile vicine al suo modo di "vivere" la trasmissione.

« E arrivi a tutto, Gina? ». «E' raro - risponde - che lasci qualcuno insoddisfatto, perché mi duole deluderli: si tratta più che altro di emigranti volontari all'estero o nella penisola e di emigranti. - per forza maggiore: carcerati, malati, emarginati. Quando non posso rispondere tramite la trasmissione, lo faccio per iscritto. Come vedi, il da fare è enorme, frenetico ».

« E non ti esaurisci? » « Sono stanca, sì, ma il mio è un compito che mi dà la sensazione di dare non parole o cose, ma una parte di me; e così, aiutando gli altri, mi sento realizzata, arricchita. Ho in me, come dire, una certezza di vivere così l'amore al prossimo in maniera viva e operante (e lo dico, senza ombra di bigotteria) in senso evangelico: "Avevo fame…avevo sete…ero carcerato, malato…e tu…”  Mi capisci, vero? ».

Così diventa una fatica meravigliosa. « Ciò che mi fa soffrire non è la fatica materiale; mi pesa quella specie di angoscia che mi prende quando mi rendo conto di non poter arrivare a tutti, di dover lasciar cadere molte domande: insomma, sento i pesi, le ansie, i problemi, le sofferenze e li faccio miei, li condivido, li soffro, ma non posso risolverli; anche perché, dimmi tu, cos'è mezz'ora, due volte alla settimana? ».

« Sembra che tu faccia questo lavoro come una missione. Com'è nato in te questo interesse per gli emigrati? ».

« Mi è stato sempre dentro fin da quando ero ragazzina. Sai bene che la Calabria, come il Sud in genere, è sempre stata una regione di disoccupazione, di sottosviluppo, di sfruttamento. Ho visto vivere da vicino il dramma della valigia legata con lo spago. Non è retorica, come non lo sono le lacrime delle madri, delle mogli, dei figli che rimangono e le difficoltà d'ogni genere degli uomini che partono. Di questo dramma comprendevo fin d'allora la dimensione e il peso e fin d'allora giurai a me stessa che avrei fatto qualcosa ».

Gina Basso amava scrivere, era diventata giornalista, ora aveva a disposizione anche un microfono. Perché non utilizzarlo proprio a favore degli emigranti? Nacque così la sua rubrica radiofonica, che poi si allargò a... servizio sociale a tutti gli effetti, sicché la mezz'ora adesso le sta stretta, e Gina da sola non può più farcela, con lo spoglio della corrispondenza, le interviste, i collegamenti radiofonici, le registrazioni, le telefonate italiane ed estere...

E quali sono gli amici senza volto, e spesso senza nome, di Gina Basso? Sono tanti, di tutti i paesi, di tutte le età e condizioni sociali. « Guarda da te », mi dice, ponendomi sotto gli occhi fasci di lettere. Problemi che potrebbero costituire la... gioia di ogni studioso di psicologia: condizioni dell'infanzia e della terza età, dei drogati e degli emarginati, dei malati e degli handicappati.

E delle donne. Tantissime: le contente e le scontente, quelle che aspirano ad un lavoro fuori casa e quelle che da questo lavoro colgono solo le spine; quelle che sono sposate e quelle che non lo sono e vorrebbero esserlo, le madri che hanno troppi figli (problemi di aborto) e quelle che non ne hanno (problemi di adozione).

E ci sono i giovani: da quello che si preoccupa per la sua... futura barba (« Perché questi pochi peluzzi, Gina? ». Ad altri si vergognerebbe di dirlo, non a lei!) al drogato, e a colui che cura il drogato; e c'è il subnormale e colui che è aiutato proprio dal subnormale (come è accaduto con un ragazzo handicappato, abituale ascoltatore, che da bisognoso si è trasformato in uno che soccorre gli altri); dalla ragazza illusa che scappa di casa e si brucia in esperienze disastrose e cerca una pace che non troverà nei paradisi artificiali, a quella priva di libertà, prigioniera di assurdi tabù.

E i carcerati. E il ragazzino che scrive: « Se ti avessi ascoltata alla radio prima di commettere il furto, certo non lo avrei fatto. Comunque, ora so che non lo farò più! ». E Antonio Serra, sardo, detenuto in Svizzera, assiduo ascoltatore della rubrica che, uscito di carcere, viene a Roma per conoscere Gina, le fa leggere il dattiloscritto con la sua storia vera (il suo era stato solo un omicidio colposo, ma non era stato creduto) e lei si adopera perché venga pubblicato col titolo "Cosa accadde veramente quella notte". Il Serra si è rivelato buon narratore, tanto che presto darà alle stampe un altro libro. E quell' emigrato in Germania che riuscì a riavvicinare non solo alla moglie che aveva abbandonato, ma anche a Dio del quale si era completamente dimenticato?

Di solito quando si diventa un personaggio... consolatore, si rischia di apparire una creatura ideale: uscendo dall'anonimato, spesso si delude. Di Gina bisogna dire il contrario. La conosci appena e già la senti amica. Il suo interesse per gli emigranti e l'amore alla terra natia l'hanno spinta a cimentarsi anche nella narrativa per ragazzi. “La siepe dei fichidindia” è un romanzo-inchiesta incentrato sui problemi umani e sociali: la storia di Totò, figlio d'un pescatore di Borgo Calabro, e dei suoi compagni. Una scusa per parlare della Calabria nelle sue condizioni immutate, chiusa nel suo secolare isolamento, col suo dramma perenne di povertà, col suo problema antico dell'emigrazione, ma anche con la sua speranza senza fine.

di Lia Carini Alimandi


 
 
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