Hanno scritto - Gina Basso

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Libri > Il coraggio di parlare
 


Rassegna bibliografica

LA CIVILTA’ CATTOLICA

Letteratura  Varia

G. Basso, Il coraggio di parlare, Fabbri, Milano 1983

Il coraggio di parlare di Gina Basso è un romanzo che si legge di un fiato: per lo stile semplice, per il raccontare popolare, per il senso di suspense che alita tra le pagine, ma soprattutto per il contenuto di una drammaticità e attualità impressionanti. Si tratta d'un romanzo - romanzo-verità, romanzo-documento - sui "fasti" criminali della 'ndràngheta calabrese della piana di Gioia Tauro, sullo sfondo dell'antica miseria della popolazione. Su tale miseria punta la delinquenza per estendere il suo influsso, affermare la sua sovranità, calpestare le sue vittime, secondo leggi che non perdonano.
Protagonista del romanzo è un ragazzo quattordicenne, Vincenzino Melito, figlio di povera gente, onesto, volenteroso, simpatico. Per aiutare la famiglia a "tirare avanti" è disposto ad accettare qualsiasi lavoro. Riesce a trovarlo, ma non si rende conto che si tratta di un lavoro sporco, offertogli dalla mafia, che lo fa, sì, guadagnare, ma lo rende schiavo e connivente della delinquenza. Quando viene a sapere, scopre di essere intrappolato: se non terrà la bocca cucita saranno guai, per lui e per i familiari. Dove trovare il "coraggio di parlare", quando ne va di mezzo la vita della famiglia? Disperato, Vincenzino fugge a Milano dove trova un lavoro pulito; ma la mafia non lo perde di vista. Restare schiavo o correre il rischio e ribellarsi? Il ragazzo sceglie la seconda strada. Grazie alla sua denunzia, le forze dell'ordine riescono a individuare e arrestare i boss mafiosi. Il "coraggio di parlare" ha avuto la meglio.
L'A. ha saputo raccontare la drammatica storia con vivacità e immediatezza, rivelando una buona informazione del fenomeno mafioso e denunziandolo con fermezza. "Vincenzino avrebbe dato la dimostrazione di quanto poco siano temuti e temibili i criminali della 'ndràngheta  purché non manchi l'orgogliosa volontà di opporsi alle loro tresche e di considerarli soltanto per quello che sono: volgari delinquenti, astuti profittatori, la cui forza risiede soprattutto nel cinismo con cui sfruttano i bisogni e le debolezze della povera  gente" (p. 179).
Il romanzo non soltanto rivela - e tali rivelazioni sono sempre necessarie - la turpitudine della delinquenza mafiosa, ma è soprattutto un invito alla gente onesta ad assumersi il "coraggio di parlare" per infrangere l'omertà e vincere la paura. Senza queste armi è impossibile vincere la mafia. Se l'A. avesse evitato una certa oleografia di toni e di rappresentazione, e se avesse maggiormente approfondito la psicologia dei suoi personaggi, ci avrebbe dato un libro degno sotto ogni aspetto; ma anche cosi Il coraggio di parlare è un romanzo dignitoso, da leggere e da consigliare.


F. Castelli


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Rotocalco di quartiere


Il libro di Gina Basso sull’omertà: “Il coraggio di parlare”
La verità è nella nostra coscienza


di Antonio Fugazzotto

L'assuefazione alla notizia, qualsiasi possa essere la sua natura o per la sua tragicità per chi vive in prima persona, é un fenomeno a cui dovremmo abituarci. Dovremmo invece in qualche maniera ribellarci alla radicata consuetudine (forse impostaci) secondo la quale un fatto, indipendentemente dalla sua gravìtà,  solo perchè si ripete e perciò si inflaziona, non "fa più notizia" .
La mafia o la 'ndrangheta,  che dir si voglia, responsabili di centinaia di delitti e, soprattutto, artefici della omertà,  ci vengono raccontate dai giornali attraverso dei trafiletti sbattuti in quindicesima pagina. La stampa non ci dice che il potere delle cosche nel loro insieme ha raggiunto livelli di penetrazione e di organizzazione tali da costituire uno stato nello stato. Ed é chiaro che se una speranza di vittoria sulla mafia ci può essere, essa nasce dalla consapevolezza da parte della gente del fenomeno mafioso e non certo dall'oblio o, peggio ancora, dall'indifferenza.

Ben vengano, perciò, libri come "Il coraggio dì parlare" di Gina Basso che con quel suo "essere testimonianza" si inserisce a buon diritto in quel florido filone letterario di cui, ad esempio, fanno parte scrittori come Leonardo Sciascia e Vittorio Schiraldi.
Gina Basso ne "Il coraggio di parlare" (Gruppo Editoriale Fabbri, 1986) racconta una storia che acquista valore di "autenticità" non perchè vera o veramente accaduta, ma perchè possiede una forte connotazione emblematica. Un libro verità, quindi. Quelle verità sociali ed umane che si identificano nella miseria e nella volontà di riscattarsi da essa, non costituiscono forse un terreno fertilissimo per il persistere del costume dell'omertà? Gina Basso conosce bene il tessuto sociale calabrese, ma soprattutto sa quanto per l'anima di questi suoi corregionali sia importante identificarsi nella tradizione che, se non contaminata dal malcostume mafioso é intrisa di valori fortemente morali e sinceramente religiosi.

Vincenzino, il protagonista tredicenne del romanzo, é una vittima innocente della 'ndragheta: la sua non é una innocenza casuale o qualunquista ma é un retaggio dei valori culturali calabresi che fanno capo soprattutto a quel coacervo di legami e di sentimenti che é la famiglia tradizionale. Egli diventa l'emblema dello storico contrasto tra quella società morale flagellata dalla miseria e quella immorale e inquinata dall'effetto mafia. L'omertà, di cui Vincenzino riuscirà a liberarsi, costituisce un pò il possibile passaggio da una società all'altra, da una condizione all'altra: é il salvacondotto, direbbe Alfonso Sastre, per una promozione economico-sociale.
Trattando dell'aspetto letterario trovo che l'opera convinca soprattutto per la perizia della scrittrice nel costruire i personaggi servendosi della sua buona conoscenza del "tipo" calabrese. Ella fa agire e reagire, ad esempio, Vincenzino secondo i canoni propri della gente del sud. Ne deriva un personaggio dai contorni marcati proprio perché costruito attraverso le sue emozioni, i suoi umori, le sue certezze, le sue debolezze e non attraverso tratti psicologici, per così dire, standardizzati. La trama, che talora risente della tecnica del giallo, si svolge con chiarezza e semplicità malgrado in qualche caso tradisca forzature d'impalcatura. La narrazione scorre fluida, anche se le descrizioni dei luoghi e della natura calabrese pur con la loro poesia, avrebbero richiesto maggiore dovizia di immagini. Ciò probabilmente é dovuto ad una concezione dell'immagine stessa abbastanza interessante infatti la scrittrice la usa non tanto come mero strumento coloristico tutto sommato emotivo ma la trasforma in un mezzo piuttosto originale atto a stimolare, ad esempio, la riflessione sul contrasto benessere-sfruttamento quando dice:
" ... avevano superato il Passo dei Mercante e adesso la strada procedeva quasi tutta in discesa, verso la costa tirrenica, tra uliveti lucenti sotto il sole e aranceti profumati eppure, la presenza della nuova civiltà si faceva già sentire anche là in modo massiccio..."
Un libro quindi che non passa inosservato per i suoi meriti stilistici e letterari ma che soprattutto riesce a stimolare, inducendo a riflettere e a prendere coscienza di un fenomeno come quello mafioso, la forza e la capacità di essere noi stessi.


 
 
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