Hanno scritto - Gina Basso

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Donne e società

LA SIEPE DEI FICHIDINDIA

Quanto sia arduo scrivere un libro per ragazzi lo può dire soltanto chi vi si sia cimentato: a un interesse obiettivo degli argomenti, deve affiancarsi un linguaggio pieno ma ricco che stimoli i meccanismi della fantasia senza perdere di vista il significato più intimo del racconto. Arte ed educazione dovrebbero costituire nella letteratura per ragazzi un binomio inscindibile, ma ricordiamo che può essere più utile un bel libro non diseducante che un libro educativo cui manchino quelle caratteristiche di freschezza e di poesia che solo l'arte può dare. Il libro della Basso può a buon diritto considerarsi riuscito, unendo in perfetto equilibrio elementi cari ai ragazzi di tutte le epoche (e non solo a loro) - lo spirito d'avventura, il paesaggio aspro e assolato, il mare, le lotte tra ragazzi di avverse fazioni - a un'espressione semplice, quasi quotidiana, che attinge dalla realtà più modesta valori profondamente umani. La poesia che scaturisce immediata agli occhi di chi legge non è che la trasposizione dei pensieri del piccolo protagonista Totò: il libro è in funzione sua, l'ottica - e qui a mio parere è il pregio del libro - è quella di un ragazzo che coglie con sensibilità quasi selvaggia gesti e pensieri di cui gli adulti non hanno nemmeno sentore e li recepisce secondo il meccanismo mentale che gli è proprio. La visione della realtà che ne deriva può sembrare distorta, costituendone alcuni valori che a noi sembrano marginali il pilastro, mentre taluni presupposti della società dei " grandi " ne sono esclusi. I ragazzi di cui la Basso con affettuosa partecipazione narra le vicende sono forse più maturi e responsabili dei loro coetanei meno "sottosviluppati ", ma non per questo hanno perso quell'entusiasmo un po' ingenuo degli adolescenti, il desiderio di rivalsa nei confronti degli avversari, nel gioco e nelle amicizie, che si esplica prima con un confronto diretto e viene successivamente incanalato in un sano antagonismo sportivo. Ciò che li rende "diversi" è il fatalismo che grava da sempre sulle regioni meridionali, la sensazione dell'inutilità della lotta, la rassegnazione di fronte a eventi che sono al di fuori della loro comprensione. "M'impressionarono soprattutto gli occhi di quella gente " rievoca la Basso nella breve introduzione al libro, "diversi da quelli di Catanzaro, di Cosenza, di Reggio Calabria; occhi profondi, come pozzi senza fondo, occhi scuri anche quando erano celesti, occhi pieni di consapevolezza anche se incastonati in volti di bambini. M'impressionò proprio questa mancanza di differenza fra gli occhi dell'infanzia e quelli dei vecchi di Borgo Calabro o di Paludi. Era come se le generazioni si fossero trasmesse la cognizione del dolore, del fatalismo, del mito tragico, della lotta inutile e la rispecchiassero sotto le palpebre ". Il messaggio che questa cronaca di vita vissuta trasmette a chi legge è estremamente toccante; è, in sostanza, un invito ad agire in nome dei tanti piccoli Totò che vivono in condizioni estreme di miseria materiale e spirituale.
Il libro della Basso, in questo senso, è molto più che un libro per ragazzi: è insieme una denuncia e un coraggioso atto di accusa assai più utile di un'arida indagine sociologica. In questa chiave va letto e meditato.



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GIORNALE D'ITALIA

Come guardare oltre la "Siepe dei fichidindia"

Le tendenze, gli orientamenti pedagogici più provveduti non lasciano ormai troppo spazio alla falsa opinione, quasi di rigore un tempo, che per i ragazzi occorresse provvedere con letture apposite, che tenessero conto della loro età, dei loro livelli di apprendimento. Un opportuno ripensamento che, per esempio, è riuscito finalmente a sottrarre uno scrittore come il Collodi, soprattutto per la sua opera più rappresentativa, Le avventure di Pinocchio, all'isolamento starei per dire "adolescenziale" cui era stato costretto da un certo modo di intendere la letteratura per l'infanzia. (E non sarà mai troppo segnalare il bellissimo saggio di Emma Nasti dal titolo, estremamente trasparente  "Pinocchio, un libro per adulti").
Questo, naturalmente, non vuol dire che non siano necessari certi accorgimenti, certi stemperamenti, di ordine soprattutto linguistico, per rendere accessibili certi libri a talune fasce d'età. Come non può significare che ogni opera possa essere resa disponibile per i ragazzi. Ogni età ha una sua particolare problematica, un suo modo di guardare al mondo, una sua peculiare angolazione oltre i quali non si può eccessivamente debordare, per non correre il rischio di lasciare un libro senza lettori. Non è comunque un compito semplice, conciliare una fruizione  generalizzata per ogni età, con contenuti da proporre. Ed ecco perché mentre sono numerosi e talvolta fecondi e, persuasivi gli scrittori tout court di romanzi, non altrettanto numerosi sono quelli che privilegiano soprattutto i lettori-ragazzi, cercando di agevolarne la marcia di avvicinamento, con l'affidare le occasioni di richiamo a storie, a vicende che abbiano proprio ragazzi quali protagonisti e un tessuto di episodi nei quali essi possano riconoscersi. Il rischio tutt'altro che raro è quello della sovrapposizione  "a posteriori" da parte dello scrittore il quale, inventando le sue storie, in esse inserisca moduli, di interpretazione, e occasioni di meditazione
che appartengono alla sua stagione presente, saltando a piè pari l'irriflessa, fondamentale innocenza di chi, in quelle vicende si trova calato prima della dissacrante esperienza degli anni.
Nella direzione più opportuna mi pare perciò che si sia mossa Gina Basso con "La siepe dei fichidindia" (Salani), che è una storia ambientata nel profondo Sud e che ha, quali suoi attori, ragazzi realisticamente persuasivi, senza necessità di soccorsi "memoriali". Si vuoi dire, cioè, che la Basso ha proceduto ad imbastire la sua vicenda nella concretezza di una realtà che è ancora viva  in quel mondo calabrese nel quale fa agire i suoi personaggi.
Sono ragazzi poveri, che il miracolo economico, il consumismo non lo conoscono nemmeno per sentito dire. Al più ne avvertono la presenza, ma pure questa estremamente dimensionata e motivata da una comune matrice dolorosa: quella dell'esperienza dell'emigrante che, tornato al paese natio, può consentirsi certi lussi, certe agiatezze sul sangue delle proprie trascorse esperienze di giramondo coatto. E' questo il caso della piccola Margot, figlia di un ex emigrante che, nel romanzo, ha, a suo modo, un ruolo consolatorio, di speranza per l'avvenire, nei confronti di Totò, il vero ed emblematico protagonista, che tenta, nei modi consentiti alla sua età, di sventare un destino che sembra obbligato e comune per la gran parte della gente della sua terra.
Totò, nella storia, è un personaggio a tutto tondo: più adulto dei suoi anni, per l'asprezza delle ferite che ne hanno segnato la vita; ma giovanissimo ed indifeso, come è normale per la sua età anagrafica, di fronte alle evasioni che sono tipiche di quegli anni. Ed è in questa bivalenza: di connotazioni che si rivela la bravura di Gina Basso, che finisce con il delineare un personaggio nel quale ciascuno di noi potrebbe identificarsi, anche se abbia avuto partenze infantili diverse. In questo senso, la scrittrice sembra procedere in maniera del tutto opposta a quanti si sono cimentati in storie legate all'infanzia. Che cioè, la chiave memoriale viene come momento successivo o almeno contemporaneo alla lettura.
Non è, per meglio chiarire, presente nelle vicende che tratteggia, ma negli esiti emotivi che suggerisce nel lettore. Che è poi la scelta piú difficile e disagevole realizzazione. Totò, con il corteo dei suoi compagni e dei suoi nemici (le ricorrenti inimicizie, così incandescenti,  che movimentano l'infanzia!) è lì, presente come un dato della realtà, è lui stesso la realtà senza gli infingimenti della nostalgia. E, a fronte a lui, evocati dalla sua concretezza, quei sentimenti che si mettono in moto nell'animo del lettore, a segnalarne il richiamo diretto, la condizionante dipendenza.
Si diceva del Totò più adulto dei suoi anni e del Totò che resta ragazzo. Del primo, c'é la sua disperata volontà di non recidere le radici con la sua terra e perciò, la sua dedizione, la sua
laboriosità, per aiutare la sua famiglia nell'affrancamento da una miseria, che è secolare;
del secondo, il cedimento ai richiami dell'età, ai giochi innocenti, alla ricerca di un rifugio dove esaltarsi con i compagni nei suoi poveri sogni senza orizzonti.
Ma, di questo secondo Totò, c'è anche quello dei gesti estremi, vorrei dire "esistenziali", di denuncia, sia pure irriflessa ed istintiva, ma che sempre scaturisce dalla trama di condizionamenti in cui si svolge la sua vita grama. E' andato con la madre al banco dei pegni, ha scoperto che qui, dietro consegna di un oggetto prezioso (prezioso soprattutto, soggettivamente, per quel carico di ricordi che vi si è come raggrumato) consegnano del danaro. Come non comprenderlo, quando, in un momento particolarmente grave per la sua famiglia, allontanatosi di casa, si presenterà allo stesso banco di pegni, per offrire se stesso, in cambio di una somma che risolva i problemi della famiglia? Egli avverte  inconsapevolmente la preziosità della vita ed è da questa istintiva considerazione, che nasce in lui l'idea di uno scambio che abbia se stesso, la sua persona, come "merce". E' un gesto estremo, ma rivelatore di una situazione dolorosa oltre la quale c'è soltanto il buio, il silenzio degli altri. Ma, proprio questo suo gesto gli farà riscoprire gli altri e ritrovare le tenere trame di un amore che va facendosi adulto, come il suo modo, ormai, di considerare la vita.


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Il Resto del Carlino

La storia di un bimbo meridionale
Dietro una siepe

"Non è affatto un libro per ragazzi. Vuol essere letto soltanto da adulti. E' stato scritto soltanto per loro! ": così, durante la stesura de " Le avventure di Tom Sawyer ", Mark Twain scriveva ad un amico. Ed è accaduto che, trattandosi di un capolavoro, han finito col definirlo un libro per ragazzi ma col leggerlo anche i grandi. Così come, ai loro tempi (ma anche oggi), "Pinocchio", "David Copperfield " ed altre opere che in realtà si finisce col gustare pienamente solo quando è già sviluppato lo spirito critico ed affinato il gusto. Opposto ed uguale discorso vale per " La siepe dei fichidindia " che, in copertina, l'editore indica specialmente per lettori d'età compresa fra i 10 e i 14 anni. Non sappiamo se questa fosse anche l'intenzione dell'autrice, Gina Basso: ma è un fatto che il libro ha tutte le caratteristiche -psicologiche, narrative, soprattutto sociali - per interessare e piacere anche "ai grandi".
Anzitutto l'autrice Gina Basso (collaboratrice anche di questo giornale) di origine calabrese, vissuta a lungo a Bologna ed ormai da anni trapiantata a Roma, dove l'ha condotta la sua attività di giornalista radiofonica. Un'attività che, l'ha resa, in effetti, il personaggio della radio italiana più conosciuto all'estero: da anni, difatti, cura e mette in onda trasmissioni (la prima intitolata " Lettere sul pentagramma" e quella attuale "C'è posta per tutti") dedicate agli italiani residenti all'estero. Con la sua stupenda voce e con la sua profonda carica di umanità ha finito col conquistarsi un pubblico che la segue, l'adora, letteralmente l'assedia di richieste, consigli, piccoli favori.
"La siepe dei fichidindia " (un elemento emblematico della spinosa divisione fra opposte mentalità, fra ciò che ci tocca e ciò che ci spetterebbe) è la storia di Marco, figlio di un povero pescatore, e dei suoi contatti con l'ambiente in cui vive: con compagni altrettanto poveri e con quelli spocchiosi, figli dei notabili del paese, con una ragazzina ricca ma ricca anche umanamente con gli adulti oppressi da una miseria millenaria che è l'unica eredità da lasciare ai figli. Il tutto popolato di figure e figurine a tutto sbalzo, soprattutto di personaggi limpidi quali possono essere solo i bambini e i poveri. E poi "momenti" meravigliosi, autentici squarci di vita, ora divertenti, ora patetici, sempre suggestivi. Ed anche una " trovata " da grande racconto: quella del piccolo Marco che, disperatamente per l'indigenza quotidiana, assillante, penosa della famiglia, fugge di casa per andare nella grande città più vicina. A far che? A cercare un lavoro? A chiedere l'elemosina? No, qualcosa di più fantasioso ed insieme più autentico per la sua genuina ingenuità, per il suo incantato fervore: per andare ad impegnare se stesso al Monte di pietà e procurare ai genitori e ai fratellini un po' di sollievo. Una pagina singolare ma soprattutto piena di disperazione angosciante.
Perché - ed è qui il pregio maggiore di questo libro - permane fino all'ultima pagina il senso antico e sempre latente della disperazione, dell'inanità di ogni sforzo od aspirazione, della rassegnazione che sovente la vince sulla speranza: il senso più profondo e più costante (tuttora, purtroppo) che permea e avvilisce lo spirito della gente del Sud. Con, in aggiunta, la continua e struggente minaccia dell'America: non intesa in senso politico, per l'amor di Dio, ma come méta quotidianamente ricordata da ogni povero padre di famiglia come ultima spiaggia per aiutare, per salvare i suoi figli da una fame che non potrà mai venire saziata. E ritorna, cosi, il significato più vero, più sentito, più palpabile di ciò che possa significare il termine " emigrazione ": il distacco oscuro e doloroso dai propri cari, l'incognita di una vita che non si è voluta né meritata, una condanna.

Giorgio Martinelli


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IL TEMPO

ROMANZO-INCHIESTA DI GINA BASSO

Dietro la siepe dei fichidindia
Oltre la "facciata" dà progresso tecnico e industriale, le antiche difficoltà di una Calabria chiusa in un isolamento millenario, - Dramma nei villaggi

"Una storia tutta vera che spero gradita a tutti i ragazzi d'Italia e magari anche ai loro genitori. Ho la, presunzione che, indipendentemente dal valore letterario, il libro possa averne uno umano del quale tragga validità, e forse utilità per tutti, grandi e piccini, come succede a tutte le storie che nascono da vicende vere e sofferte... "
Così Gina Basso scrive nella lunga prefazione al romanzo La siepe dei fichidindia, una prefazione che rappresenta una parte avvincente dell'opera. Avvincente e convincente in quanto vi si denuncia la genesi di un travaglio e di un ritrovamento,  la storia di una storia nella storia con tutte lo implicazioni pertinenti a un paese dal benessere fallimentare quale è il nostro.
Trionfalistiche fasce di autostrade e superstrade, esaltanti programmazioni industriali future apportatrici di magnifiche prosperità, lungo le coste calabre e, appena nell'interno, fianco a fianco, il segno dell'immutabile antica miseria, la barriera dell'isolamento millenario. Demagogia e disamore intrighi e cosche dai proventi clientelari o totale abbandono: questo il bruciante della Calabria di oggi - forse ancor più doloroso e offensivo di una povertà ancestrale e supina, comune a tutti - che l'autrice raccoglie e fa suo nel corso di una inchiesta radiofonica tra le, regioni più povere di questa terra. Da questo incontro, vissuto con la mente indagatrice di una professionista e la passionalità di chi in parte alla Calabria attinge le proprie radici, Gina Basso ha preso lo spunto per il suo romanzo. Un romanzo permeato appunto dai traumi di tali fermenti, in un mondo dove all'atavica  rassegnazione del povero si aggiunge ora l'umiliazione del raffronto con i facili e spesso ingiusti arricchimenti, con le deformazioni sociali tipiche di una particolare evoluzione economica, e dove gli squilibri del suo disarmonico sviluppo attentano, tra la sua gente, alla integrità dei piú validi e profondi suoi valori umani. Che i protagonisti del romanzo siano dei ragazzi - capitolo culminante ed emblematico del libro è quello del bambino che va ad impegnarsi al Monte di Pietà di Catanzaro - e ehe questo romanzo sia Stato inteso per ragazzi - o, almeno, in primo luogo per ragazzi - pone all'opera forse alcune limitazioni ma anche molte aperture. La sua lettura scorrevole la rende, senza dubbio di facile divulgazione. Ma c'e da chiedersi se la portata dell'argomento di fondo non avrebbe meritato, con maggior lavoro di scavo, un ulteriore approfondimento del problema. L'insanabilità di un conflitto tra la sopravvivenza di antichi tesori spirituali, legati all'humus della terra stessa e la aggressione della moderna tecnologia disumanizzante rimane, tuttavia, l'ombra dominatrice. La suggestione di una possibile terza strada che riscatti, su schemi progrediti di sviluppo agricolo e turistico, uomini e cose, non fa parte, qui del discorso: ed è bene ed è logico che sia così. Con La siepe dei fichidindia la Basso ha voluto trasmettere il quadro di una propria emozione. E lo ha fatto con un entusiasmo meritevole di ogni rispetto.

Clara Falcone



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Incontro con Gina

Il LIBRO mi è giunto accompagnato da una lettera dell'autrice, una lettera con una bugia certa e una probabile, l'una e l'altra senza perfidia e nemmeno malizia. La lettera dice: "da una calabrese, casigliana anonima, ad un calabrese celebre ". Ora chi tesse l'aerea trama, che spesso ha l'abilità del ricamo, d'un libro come questo non può essere aria casigliana anonima o non può essere prevalentemente una casigliana anonima; e, d'altra parte; io sto prendendo gusto a vivere da sì lungo tempo che mi è facile scambiare la notorietà con la celebrità- perché diventa sempre più facile scambiare la realtà con l'illusione.
Il libro, edito con l'antica nobiltà della casa editrice Salani, narra una vicenda di Calabria, la terra mitica ormai lontana e non mai perduta, quella che il mare sospinge alla base per farla arrampicare innalzandosi verso le cime : s'intitola "La Siepe dei Fichidindia ", una lunga siepe che nasconde la piccola grotta, ch'é un luogo d'adunata per i piccoli del paese. Il ficodindia è pianta comune in Calabria talvolta posta sul limitare del paese, convive bonariamente con le anime; n'è per certi versi un simbolo, con la sofferenza sua che spesso la storce e ne fa   difendere anche  con le spine il dolcissimo frutto. Sono molti i calabresi per le vie del mondo che conservano nel fondo della memoria una siepe di fichidindia, legata al mito, della fanciullezza  remota.
Ed ecco il piccolo mondo di queste grandi pagine: i ragazzi, il paese, i ragazzi del paese. Disse una volta Lucia Bosè, graziosa e aitante, d'essere   "una donna moderna con tante radici antiche". Così vorrei dire, giunto all'ultima pagina del libro, di Gina Basso, l'autrice, il cui volume è tutto innocenza, tutto candore, tutto acqua e sapone (acqua di fiumana e sapone da bucato), dove i ragazzi non vestono pullover di cachemir né blue-jeans, né macinati da un'età più adulta della propria, c'è anzi caso che - a domandar loro l'età - essi rispondano: - fàmmici pensare -.
Non voglio ripetere quel che già anni or sono si mise a gridare Umberto Calosso che la letteratura italiana è ammantata d'amore e tutto l'assordante scampanio che si fa sul sesso serve forse solo a distrarre dalla fatalità delle ore none: chi sa non avesse ragione il consigliere medico professor Wilhelm Weygandt quando, nel congresso d'Amburgo, s'infuriò a gridare che le teorie di Freud riguardassero più la polizia che non la scienza e che il trattamento psicanalitico non fosse alla fine che una specie di massaggio agli organi genitali. Del resto, la Bibbia è tutta carica di poligamia; ma il Vangelo è tutto soffuso di fedeltà.
Ora è di concludere riaffermando che noi abbiamo come in una festa i ragazzi de "La Siepe dei Fichidindia", così vivaci e loquaci senza esser né scempi né scurrili. Gina Basso non ce l'ha detto; ma sono ragazzi che certo qualche sera si fermano a contemplare le Pleiadi, le sette stelle.
Kafka esclamava: "Se potessi essere vivo senza essere obbligato a vivere!".
Siamo sicuri che Gina Basso, con il privilegio della sua penna, narrerà in un altro libro la vita di questi ragazzi fatti anziani, uomini che vivono. Uomini che vivono senza la pena di vivere. E parlerà anche allora a quella particola di puerizia che l'uomo si porta sempre dentro se stesso anche con i capelli bianchi.
Soprattutto con i capelli bianchi.  

TRETTI



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Da: "LA FIERA LETTERARIA"

ARRIVA  IL BENESSERE
Un libro per ragazzi che possono leggere anche i grandi e non per quella componente infantile che può essere negli adulti, ma proprio per il contenuto, il e i problemi che il romanzo contiene

Esiste una letteratura per ragazzi? C'è chi dice di no; o meglio: che esiste una letteratura sola, che non ci sono o non ci dovrebbero essere libri destinati ai ragazzi. Noi propendiamo per questa tesi, soprattutto dopo aver letto "La siepe dei fichidindia"  che Gina Basso ha scritto per l'editore Salani. E' un libro che possono benissimo leggere i grandi e non per quella componente infantile che può essere negli adulti, ma proprio per il contenuto, il linguaggio e i problemi che il romanzo contiene. E si tratta di un contenuto fortemente caratterizzato in senso sociale pur senza presunzioni sociologiche e strumentalizzazioni politiche. E' un libro del nostro tempo, con una vicenda immersa in un contesto di motivi di oggi e strettamente legata ad una civiltà in evoluzione e a un'area ben precisata: l'area meridionale e particolarmente calabrese. I ragazzi ne sono i protagonisti, ma in quanto elementi di questa società e quindi protagonisti insieme ai genitori, ai grandi, a tutta la popolazione di un paese. In questo senso "La siepe dei fichidindia" è un romanzo corale. Diciamo subito a scanso di equivoci che, pur immerso nella problematica sociale del Sud, nel momento del complicato trapasso dalla civiltá agricola a quella industriale, il libro è un'operazione narrativa letterariamente risolta, cioè vibrante di poesia e permeata di quel senso dell'avventuroso  che distingue un romanzo da un trattato o da un réportage giornalistico.
In verità, del réportage l'opera prende le mosse. Nelle pagine introduttive Gina Basso ricorda come questo libro sia nato da un ritorno nel Sud dove era stata alcuni anni prima per dei servizi radiofonici. In questo ritorno ella ritrova un maggior numero di espressioni della tecnologia e dell'industria, ma ancora le pesanti sopravvivenze della vecchia cultura e purtroppo della vecchia miseria. E ritrova i ragazzi del suo primo incontro e le condizioni immutate in cui essi agivano; e da questo ritrovamento scaturisce il racconto.  Il ricordo favorisce l'operazione poetica; fatti e personaggi acquistano contorni più sfumati e sono rivisitati come attraverso un filtro fantastico.
Il benessere arriva anche in Calabria, in cui Gina Basso ha localizzato la vicenda; ma arriva capriccioso, casuale, con ingiuste preferenze  e fa ancor di più risalire la miseria di chi non tocca, di chi neanche sfiora, come succede per la popolazione del paesino in cui è ambientata la vicenda; pertanto permangono livelli economici prebellici, rimane l'emigrazione come unica soluzione, rimangono le profonde differenze sociali. Ma sembra che Totò e i suoi amici non nutrano rancore, che ancora sperino nelle loro risorse, nel mare che offra maggiori prodotti ai padri pescatori, nella solidarietà, nel risparmio, nello sfruttamento oltre ogni limite di ciò che hanno: cioè, non sono presi dalla febbre consumistica, non sono sfiorati da una contestazione pilotata dagli altri; e pertanto conservano intatta la loro individualità, una loro freschezza di natura e un loro legame con la terra.
In sostanza sono i ragazzi meno alienati di oggi. O di ieri: più o meno la vicenda risale a dieci anni fa quando la situazione era in quel modo in quel luogo. Totò è parente stretto di tanti ragazzi della narrativa meridionale non solo calabrese. Parente per esempio di Rosso Malpelo del Verga, se vogliamo risalire il passato, o di altri personaggi di narratori calabresi, da Alvaro a Rèpaci se vogliamo riandare a tempi più recenti. E' figlio di pescatori ma il mare rende poco e l'unico miraggio per suo padre come per tanti altri è l'emigrazione.
La vicenda principale intorno alla quale si sviluppano altri episodi è quella che induce il ragazzo ad un gesto singolare: quello di fuggire da casa per andare in città a Catanzaro, dove non è mai stato per offrirsi al Monte di Pietà, per impegnarsi. Sarà riportato a casa. dai carabinieri, ma l'eccezionalitá del suo gesto si imporrà in un paese rassegnato e pigro.
Personaggi ed episodi sono ambientati in un paesaggio non ancora violentato dai tralicci e da altri elementi dell'era industriale, un paese affascinante ma avaro di quel benessere che invece i tralicci e gli stabilimenti elargiscono. Così che a questo punto il libro di Gina Basso può lasciare nel lettore che non si sia fatto prendere solo dalla vicenda un interrogativo del genere: è proprio così tristemente fatale la crudele alternativa che ci pone la storia oggi? E l'alternativa si dispiega con altre domande: lasciare le cose come stanno per conservare intatto il paesaggio naturale e psicologico e cioè la disposizione primigenia della natura e al tempo stesso i sentimenti umani cui abbiamo prima accennato come la generosità, la bontà, l'altruismo, il sacrificio o operare cambiamenti che violentino il paesaggio e anche che la psicologia dell'uomo ma che al tempo stesso producano benessere, uguaglianza, condizioni completamente nuove e diverse? Il nostro interrogativo potrebbe essere accusato di sottointendere un discorso conservatore; e forse con esso trascendiamo la critica che ci proponevamo a questo libro. Pertanto non rispondiamo. Solo osserviamo che a volte dei libri apparentemente destinati ai ragazzi contengono motivi di domande e di riflessioni che investono l'essenza stessa dell'uomo di oggi. E' un merito non da poco, questo de "La siepe dei fichidindia", un libro che fra l'altro si legge avidamente anche perché scritto in un linguaggio semplice e captante.

Mario Guidotti



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"LA SIEPE DEI FICHIDINDIA"
EDIZIONI SALANI. FIRENZE.

Gina Basso è un nome caro agli ascoltatori della Radio perché dirige da anni rubriche di successo: attualmente conduce "C'é posta per tutti", un programma bisettimanale imperniato nullo scambio di corrispondenza con il pubblico.
Il suo nome  è noto anche nel settore della narrativa per  ragazzi, soprattutto per Il libro che ha scritto recentemente, "La siepe dei fichidindia", edito da Salani, e che ha raccolto, già al suo apparire, consensi e critiche positive.
L'opera è stata premiata in Calabria con l'attribuzione  del "PremioVilla S.Giovanni" e a Roma con il Premio della Presidenza del Consiglio del Ministri.
Gina Basso ha dedicato il libro ai ragazzi ed alla sua gente,  perché  è calabrese, anche se da anni vivo e lavora a Roma.
La Calabria, con i toni drammatici della povertà in un paese di pescatori, è lo sfondo delle delicate  vicende di Totò e Margot, due adolescenti legati dal presentimento di un affetto che accomuna le loro vite.
Totò ha negli occhi scuri l'amara lucidità di una presa di coscienza dolorosa e precoce: la sua famiglia  è poverissima e ogni giorno il problema economico condiziona la certezza di un misero pasto. La sua grande amica, Margot, orfana di madre, vive in una villetta che é frutto dell'ingegnosità del padre, un ex-emigrante  tornato in Calabria dopo aver lavorato con successo e con vantaggio economico in America. Una burbera governante negra dal cuor d'oro, cerca di sostituire la madre mortadi Margot e prende sotto la sua protezione anche Totò: gli prepara succulente merende che il ragazzo non consuma completamente, pur essendo affamato, per poterne portare i residui ai fratellini, più affamati di lui.
L'emigrazione  è lo spettro che insidia la tranquillità di Totò: egli teme sempre che il padre sia costretto a seguire l'esempio doloroso di tanti uomini del paese,  partiti per cercare all'estero  il lavoro che la loro bella e avara terra nega.
La disoccupazione, l'emigrazione, la povertà  costituiscono la problematica sociale che accompagna costantemente il lettore: è  un libro per ragazzi che fa riflettere gli adulti e prepara gli adolescenti ad affrontare i temi della realtà che lì attende, appena varcata la
soglia della fanciullezza.
Un delicato filo poetico si snoda attraverso le pagine: è lo sbocciare  di un sentimento tra i due ragazzi che cercano di risolvere  i drammi della povertà creando un piccolo mercato artigianale, nato dalla fantasia della estrosa Margot che crea pupazzi variopinti con fil di ferro, spago e ritagli di stoffa.
Impressionante il realismo incisivo dell'iniziava di Totò,  che si reca in città per offrire se stesso in pegno  al Monte di Pietà. Il ragazzo vuole porre rimedio, con una cessione impossibile e straziante, ideata dall'immaginazione dolente di bambino povero, alla miseria e ai debiti della famiglia. Totò ha visto troppo spesso la desolante partenza degli uomini con la valigia di cartone gonfia, legata dallo spago che trattiene le povere cose, i ricordi anche, insieme con un pezzo di pecorino odoroso e un cartoccio di olive aromatiche che serviranno a calmare i morsi della fame durante il viaggio.
E' una lunga ed interessante lezione di vita, scritta sul filo dei toni ora drammatici, ora giocosi, com'è, d'altro  canto, l'esistenza umana, sempre in bilico tra il sorriso e le lacrime.
" La siepe dei fichidindia" è un affresco, vivace ed asciutto della vita nel Sud, attraverso lo specchio che riflette le vicende  di ragazzi protesi nello sforzo di diventare adulti nel modo più difficile e che è il solo loro consentito: quello appunto del mondo dei poveri!
La spensieratezza dei giochi inventati  lì per lì, in mezzo alla polvere della piazza del paese, è sempre fugace: nel sorriso di quei volti bruni c'è già la preoccupazione dei genitori, c'è già il problema di portare a casa qualche soldo, E allora s'inventa il lavoro con la stessa alacre e feconda spinta del gioco: il bozzetto del mercatino dei ragazzi che vendono ai turisti i pupazzi ideati da Margot è avvincente, non lo si dimentica facilmente!
Il libro è stato già adottato, dopo pochi mesi dalla comparsa in libreria, da alcune scuole Medie, a Roma,  come testo ufficiale di narrativa. E'un'opera meritevole di attenzione non soltanto per il settore educativo e giovanile perché è ricco dì spunti originali, di annotazioni profonde ed è permeato da una vena lirica che anche gli adulti sapranno apprezzare! "La siepe dei fichidindia" merita un'ampia diffusione perché contribuisce a formare una coscienza critica nella gioventù che si prepara ad affrontare la realtà del mondo degli adulti: è un libro che unisce al gusto del racconto serrato e ricco di mordente,  la preziosità di un insegnamento profondo, mai noioso!


Giuseppina Sciascia



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LA CALABRIA IN UN LIBRO DI GINA BASSO

Una realtà reinventata
Paolo Cremisini

"Età 10 - 14 anni" è scritto sul retro del libro ma non è esatto: in effetti è un libro che parla di ragazzi ad un pubblico di tutte le età, con un linguaggio che non conosce frontiere generazionali proprio perché è vivo, preso cioè dalla vita di tutti i giorni che è, nonostante tutto, sempre, uguale a se stessa.
Quello che appare subito evidente, leggendo "La siepe dei fichi d'India" (Ed. Salani) è il sincero amore che l'Autrice, Gina Basso, porta per la sua terra d'origine, la Calabria, e il popolo forte e riservato che la abita.
La trama è semplice e "vera": a Borgo Calabro, uno dei tanti paesini ammalati di emigrazione, vediamo Totò, un poverissimo adolescente che, però, rispetto a molti suoi coetanei ha almeno la fortuna di avere ancora il padre in casa, vivere una vita che è un misto d'insopprimibile spensieratezza infantile e di maturità precocemente acquisita. Accanto a lui, quasi comprimaria c'è Margot, figlia di un compaesano che ha fatto fortuna in America, in Perù. Tutt'intorno, perfettamente caratterizzati  agiscono uomini, donne, vecchi, bambini, preti, ricchi (pochi) e poveri (tanti) i quali danno gli elementi umani necessari a far vivere una delicata storia d'amore, anzi di primo amore tra i due ragazzi. Naturalmente assistiamo a piccole incomprensioni, a piccoli "drammi della gelosia" ma (e qui anche sta la bravura della Basso) di cui non siamo portati a ridere, perché l'Autrice ci ha già immersi nel mondo che descrive, nei sentimenti che rievoca nei ricordi che risveglia in ciascuno di noi.
Poi, quando il libro termina le sue parole, non è una storia che è finita, ma è solo una finestra che si è chiusa su un mondo vivo, autonomo, reale quanto solo la realtà può essere. Così, quella che all'inizio era solo una storia, può entrare, senza troppi sforzi, tra i nostri ricordi di una infanzia rivissuta in un'altra età, non diciamo quale col cuore riscaldato dal sole bruciante e colla mente pungolata da un profondo senso d'insoddisfazione che forse ci spingerà a far qualcosa per la Calabria e per "tutto il nostro affascinante e sfortunato Meridione".



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Gina BASSO "La siepe dei fichidindia"
Tra favola e documento

La siepe dei fichidindia di Gina Basso (Salani 1975) ha il taglio d'un libro per ragazzi, ma una certa qual vena di sottinteso (ma non troppo) impegno meridionalistico colloca il racconto nel quadro di quella narrativa meridionale " adulta ", che vide il suo periodo di massimo fulgore negli anni Cinquanta per poi esaurirsi lentamente, col mutare delle situazioni e condizioni ambientali, che avevano fornito materia ed estri a opere che restano con una loro cifra rispettabile nella letteratura italiana del dopoguerra.
I protagonisti del libro sono ragazzi ma il mondo che li circonda, l'aria che li avvolge, investono interessi che non sono propri della adolescenza, tanto è vero che nel corso della narrazione l'autrice carica i suoi piccoli personaggi - con una accettabile adesione ai modelli della realtà - d'uno spessore esistenziale e d'una pensosità densa per renderli capaci d'affrontare i riflessi di problemi che appartengono all'intera società e che di conseguenza non sono peculiari della loro età. Un incrocio, dunque, di "fabula" e di ordito realistico. Vagamente la trama ricorda quella del libro d'un altro autore calabrese (Tibi e Tascia di Saverio Strati, che risale a una quindicina di anni fa), anche se l'ottica dei due romanzi è notevolmente diversa: in "Tibi e Tascia " prevaleva la ricerca della poesia dell'adolescenza in una situazione esistenziale meridionale che era quasi esclusivamente cornice alla favola, nel libro della Basso la preoccupazione di fondo è di dipanare un intreccio attendibile e poeticamente corretto attraverso la ricognizione dell'animo di alcuni ragazzi alle prese con una situazione che è più grande di loro.
Il romanzo rivolge il suo obiettivo su una famiglia di emigranti. L'assillo, il rovello del distacco e della separazione gravano sui personaggi, mentre una forza di sapore ancestrale sembra richiamare la famiglia all'unità. Totò, un ragazzo che vive intensamente questa malinconica attesa del frazionamento della famiglia, partecipa al travagli di questa vigilia di fatalità con una sua trovata dolente, che consiste nell'impegnarsi al Monte di Pietà, dove ha visto la madre impegnare gli orecchini.
Diffondersi oltre sulla trama significherebbe raccontare il libro e questo è il peggior servizio che possa rendersi a un romanzo. Chi ha scritto che La siepe dei fichidindia non è solo un libro per ragazzi non ha un torto. Nel racconto si alternano due vocazioni dell'autrice il bisogno di raccontare una storia che riecheggi la favolosità d'un certo mondo che conosce a fondo e l'impellenza professionale di seguire anche i risvolti d'una problematica sempre attuale e dolorosa che è quella degli emigranti.

Gennaro MANNA


 
 
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