Recensioni - Gina Basso

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Incontro Scuola Autore

INTRODUZIONE ALL’INCONTRO CON LA SCRITTRICE GINA BASSO
San Marco Argentano

"Tutto è cominciato perché volevo trovare lavoro", dice Vincenzino al Capitano Puoti, all'inizio della sua confessione. E già, tutto per un misero salario: sembra la storia di tanti altri giovani della nostra terra. Una giovinezza consumata nell'incubo della disoccupazione e nella corsa, tanto più frenetica, quanto più vana, verso un posto di lavoro che aiuti a sfuggire alla follia. Ma per Vincenzino, ingenuo e troppo piccolo, questa ricerca di lavoro si tinge di dramma. Ed eccolo, quindi, ingannato da un avido spacciatore di droga, che ne fa un suo "commesso"e poi, dopo avere scoperto i loschi traffici di don Gino e dopo averlo abbandonato, divenuto di nuovo preda del bisogno, eccolo nelle mani di don Carmelo, che lo assolda perchè porti delle lettere precipitandolo così in una realtà terribile e molto più grande di lui: la mafia. Il ragazzo, comunque  pur nella sua spontaneità, ha un pò di intuito e pensa che, forse, in quello che fa c'è qualcosa di poco pulito. "Fece le commissioni e tutto andò bene - si legge nel romanzo - Trovò i posti e depositò le buste dove gli era stato detto. Poi tornò a casa; ma non si sentiva soddisfatto come, di solito, si sente chi ha fatto il proprio dovere" (Cfr.G.Basso: Il coraggio di parlare Fabbri Editori 1987.p.69).
Vincenzino comincia a prendere coscienza; poi gli eventi precipitano ed egli si rende conto sempre più, fino alla scoperta, in campagna, del fico d'India "mobile" e della botola. Ora tutto è chiaro ed il ragazzo può collegare ogni cosa: il vertice mafioso, il rapimento di Salvatore Calogero e la botola. Poi le continue minacce di Gerolamo, lo "scagnozzo" di don Carmelo, il nuovo lavoro in un cantiere di Gioia Tauro, offertogli per pagarne il silenzio, e, quindi, ecco l'amara notizia della scomparsa di Fortunato, il pastorello con cui aveva scoperto la botola, seguita dal rinvenimento del suo cadavere con un sasso in bocca. Vincenzino soffre intensamente questa vicenda, ma non trova ancora il coraggio di parlare. "Che terra infelice, questa- constatò tra sè- dove per ottenere un lavoro bisogna compromettersi, vendersi, farsi complici, chiudere gli occhi e la bocca" (G.Basso, op.cit. p.103). Amara questa considerazione di Vincenzino, che, a 14 anni, a sue spese, è già diventato un uomo: amara come un'infanzia senza la gioia dei giochi. A questo punto il ragazzo lascia il cantiere, lascia la casa ed il paese e se ne va. E' qui che comincia la parte più delicata d'una lotta tra la remora avita dell'omertà ed il bisogno di liberarsi d'un male, che lo rode fin nel più profondo dell'anima. E da questo intimo dissidio, attraverso varie esperienze, sorge, nel ragazzo, il coraggio di parlare, di denunciare quel mondo, e nella denuncia la scrittrice Gina Basso fa di Vincenzino un gigante, cui si aggrappano le speranze di quanti ancora credono in un domani migliore.
Sembra una pagina della nostra vita quotidiana, eppure è un romanzo, un'opera che penetra intimamente il dramma d'un popolo e d'una terra, che vogliono uscire dal tunnel, che vogliono liberarsi dai mali vecchi e nuovi, in cui si è dipanata e si svolge la loro storia.
Le pagine della Basso, oltre che una denuncia, sono anche una profonda analisi degli aspetti essenziali d'una anima, quella calabrese,che è messa a nudo nei suoi meandri più intimi: povertà,  disoccupazione, bisogno di protezione, paura, omertà,  diffidenza, filosofia del bisogno delle baronìe di turno, riemergere di  terrori ancestrali, che si dibattono nell'inconscio con realistica evidenza, talora rassegnazione. "Noi calabresi -si legge in alcune considerazioni presenti nel romanzo -siamo sempre stati divisi in dominatori e dominati, in servi e padroni. E' sempre stato così e niente potrà far cambiare questo stato di cose" (Cfr. G.Basso, op.cit.p.77).
Eppure c'è una speranza, c'è Vincenzino, c'è, cioè, quell'innocenza, che sola è capace di abbattere il male. E sì perché Vincenzino è proprio il simbolo di quell'innocenza  che noi tutti dovremmo  recuperare nel nostro intimo, per rinvenire il coraggio di parlare e di schiudere il nostro orizzonte ad una nuova vita. Ma se io mi fermassi ad evidenziare solo queste cose, farei un torto alla scrittrice Gina Basso, perché rischierei di fare scadere delle pagine di poesia, quali quelle del Coraggio di parlare, in poche e rapide note di cronaca o, tutt'al più, in modesti elzeviri di sociologia. Non posso farlo: Il coraggio di parlare, infatti, è soprattutto poesia, e non perché poìhsiV - cioè creazione d'una vicenda e di personaggi che la svolgano, bensì perché il romanzo della Basso realizza adeguatamente ciò che il filosofo Arthur Schopenhauer, parlando dell'arte, nel libro terzo del Mondo come volontà e rappresentazione, chiama "la rivelazione dell'idea dell'umanità". E' l'umanità calabrese, nella sua dimensione abitante d'oggi, che la Basso rivela nel suo romanzo, facendone il paradigma dell'uomo d'ogni tempo e d'ogni luogo, colto e rappresentato nella sua vita, una vita in cui le forze del male, sprigionate da "nani maligni", la fanno sempre da protagoniste. E la poesia della Basso è nelle pieghe d'ogni vicenda, nei sentimenti, nelle nostalgie, nella rassegnazione e negli stati d'animo di Vincenzino e dei vari personaggi, che si alternano sulla scena. La poesia è nell'ingenuità di Vincenzino, che, nella sua innocenza, guarda al mondo di fuori, lontano da lui e dai suoi problemi, e per un momento lo sente come un'isola di incontaminata serenità" ... dal buio della caverna lasciava vagare lo sguardo sul bosco e, più oltre, sui campi costellati di enormi ulivi. Si godeva il silenzio e il senso di pace che regnavano lassù ...Dall'alto scorse qualcuno che faceva pascolare un gregge di pecore. Provò per il pastore una specie d'invidia: quello non aveva a che fare con gente come don Gino e aveva un lavoro che non soltanto gli faceva guadagnare qualcosa, ma gli consentiva di stare tutto il giorno in giro per i campi" (Cfr. G. Basso. op.cit. p.58). Ma fuori da quell'angolo della natura, che è il mondo come se lo rappresenta Vincenzino, c'è il mondo di tutti i giorni, con il suo consorzio di uomini, con le sue crudeltà, un mondo spietato che aggredisce ed opprime con la mafia, che, simbolo del male universale, con i suoi tentacoli, sembra costituire una cappa in cui pare chiudersi la vita dell'uomo d'oggi. E la poesia è ancora nella capacità introspettiva con cui la scrittrice Gina Basso sa cogliere, vivere ed esprimere le angosce, le ansie, i sospiri e le speranze di questa umanità.
Altri scrittori hanno proposto e riproposto, ai lettori, il tema della piovra, ma non è il caso di fare riferimenti o di proporre delle analisi comparate o dei paragoni. Ciascun artista, infatti ha una sua peculiare sensibilità e rivive i problemi in stretto rapporto con il proprio mondo interiore. Non sarebbe poeta se non fosse così. Ma un richiamo, seppure breve e non con l'intento del confronto, bisogna pure proporlo ripensando all'opera di Saverio Strati, che appena due anni fa è stato fra noi. E subito si prospetta, con profonda evidenza, la differenza fra i due scrittori.
La mafia, nello Strati (basta rimeditare, per un momento, il Diavolaro, o Il Selvaggio di Santa Venere o ancora La conca degli aranci) è lo sfondo del racconto, una realtà che si avverte, talora spia, ma mai si dipana come vera protagonista. Nel romanzo della Basso, invece, la mafia è il centro motore di ogni pagina, è la protagonista, insieme con Vincenzino, di tutta la vicenda; una vicenda drammatica, che ripropone, in tutta la sua crudeltà e violenza, quella dimensione di morte, che caratterizza l'abitare dell'uomo contemporaneo sulla terra.
Ma non è la morte il tema del romanzo di Gina Basso, è la vita, quella vita che premia l'innocenza di Vincenzino e si fa un segno quasi tangibile di nuove speranze. Torna grato, pertanto, a questo punto, ricordare alcuni versi di Johann Peter Hebel: "Noi siamo piante che- ci piaccia ammetterlo o no -/ ben radicate al suolo debbono ergersi dalla terra/ per poter fiorire nell'etere e portar frutti" (Cfr. M.Heidegger: Il pensare poetante, antologia di scritti curata da Edoardo Mirri, CLEUP p.197).Torna grato perché forse è proprio qui il messaggio, che la Basso affida al suo romanzo, nella speranza che l'uomo si innalzi dalla terra al cielo dello spirito, recuperi l'innocenza e l'amore, che nonostante tutto dimorano, seppur dimenticate nel suo cuore, e restituisca a sé ed agli altri una vita ed una dignità più umane,


Eugenio Maria Gallo


 
 
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